solitudine, lontananza, compartecipazione, fratellanza, unione, attaccamento, attaccamento morboso...
Pensavo a questi sostantivi sulle relazioni e poi ho letto un articolo intitolato Sentirsi soli non significa non avere amici che recita "Se riusciamo ad avere un dialogo con noi stessi sceglieremo di vedere le persone per gli stimoli che ci possono dare, non per riempire la serata, non per distrarci, non per far passare il tempo. Cominceremo a scegliere."
e io scrivo alla mia migliore amica "noi penso siamo su questa strada: riuscirci in toto è un po' da super eroe... però..."
Penso alla nostra amicizia, a come sia diversa dalla maggior parte degli altri rapporti ed affine a ben pochi altri in profondità, partecipazione e emancipazione. Credo che il nostro sia stato il primo rapporto "adulto" della mia vita: nato sulla reciproca simpatia, alimentato dai comuni interessi e cresciuto dal rispetto per la reciproca indipendenza e personalità. Questo è il tipo di rapporto a cui inconsciamente ambisco da quasi 10 anni e che mi porta ad incontrare molte persone ma a portarne con me davvero poche. Questa ricerca è quella che placa la mia sete di "amore a tutti i costi" e che mi fa invece dissetare con l'"amore a beneficio di condivisione" (passatemi questo termine). Non è facile capire gli altri, lasciare che una persona cara prenda una decisione che non condividiamo. Forse bisogna solo capire che si può camminare a fianco delle persone e non fare i passi per conto loro e se la loro camminata ci sembra strana, illogica il massimo che ci è concesso, per loro ma soprattutto per noi stessi, è restare nel loro campo visivo perché si sappia reciprocamente di esserci sempre l'uno per l'altro. Del resto l'amore più grande del mondo funziona così: i genitori ci accompagnano lungo la nostra strada per poi lasciarci la mano e vederci camminare da soli, ma appena voltiamo lo sguardo loro sono lì, al nostro fianco, un passo avanti o un passo indietro, ma sempre alla distanza di un (ab)braccio.
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